Storia

ORIGINE E SVILUPPO DELLE CONFRATERNITE

ORIGINE E SVILUPPO DELLE CONFRATERNITE

LE CONFRATERNITE NEL DIRITTO

Grande importanza ebbero i sodalizi laici nella erezione o nell’abbellimento di oratori e di chiese, nell’opera compiuta per mantenere in vita gli edifici sacri dove si riunivano e che, senza di loro, sarebbero andati perduti. Molte chiese di Roma debbono l’esistenza alle confraternite, altre recano tuttora i segni della munificenza dei confratelli. E’ appunto iI pro­fondo legame tra i sodalizi e i loro luoghi di riunione che, in questo volume, abbiamo cercato di tracciare.

ORIGINE E SVILUPPO DELLE CONFRATERNITE

Per chiarire e porre i limiti dell’oggetto di questo studio e anzitutto necessario stabilire che cosa s’intende per confraternita, e ciò per evitare confusione con istituzioni similari, nell’organizzazione o negli scopi, che fiorirono nella Chiesa fin da tempi antichissimi. La confraternita, è una unione di fedeli, eretta con decreto formale dell’autorità ecclesiastica, organizzata gerarchicamente, che ha per scopo l’esercizio di opere di pietà o di carità e l’accrescimento del culto pubblico ed ha sede in una chiesa, oratorio o cappella.

La parola “Confraternita” deriva dalla voce latina frater – fratello – che ha dato anche origine a fraternitas e confraternitas ed alle parole italiane: fraternita, confratello e cosi via. Qualche autore con ipotetiche argomentazioni vorrebbe far derivare il vocabolo confraternita dal greco (MAGRI, Notitia, ecc.), ma come giustamente osserva Huetter “…ci vuol poco a capire che fraternitas è voce latina e che confrate o confratello vengono dal latino al pari degli altri vocaboli ecclesiastici di compare o comare” (HUETTER, Le Confraternite, ecc.).

Già i primi cristiani usavano chiamarsi “fratelIi” fra loro e la parola si trova spesso in antichissimi scritti come sinonimo di christiani fideles. Fraternitas era pure usato per indicare la totalità dei fedeli, cioè la Chiesa, detta anche Ecclesia Fratrum. In seguito fu adoperata solo dai predicatori nel rivolgersi ai fedeli: fratres dilectissimi, carissimi. Nel IV e V sec. fratello e sorella si chiamarono gli eccliesiastici con le loro sorelle spirituali dette agapete o subintroductae. I religiosi si chiamarono tra loro fratelli, come fanno tuttora, pur con la tendenza a limitare tale appellativo soltanto ai non sacerdoti. Lo stesso uso fu adottato nelle unioni di laici dove ancor oggi i sodali si chiamano “fratello”: quando il loro nome viene scritto negli atti ufficiali della confraternita è sempre preceduto dalla abbreviazione Fr.

Nel corso dei secoli le unioni di laici fondate a scopo di culto o beneficenza furono chiamate con vari nomi: Hincmar di Reims nell’852, nei CapituIa presbiteris data, dà a queste associazioni il nome di confratria e di geldonia ed ai membri quello di confrater. Altre parole esprimenti lo stesso concetto furono successivamente in italiano: confraria, confreria, confratia, confratica, compagnia, confratantia, fratria, frateria, fradaria, fratalea, estaurita; in latino: colligatio, coniuratio, sodalitas, congregatio, schola, collegia, sodalitiurn, fraternitas laicorum, societas, coetus, consociatio, ecc.

Quando questi sodalizi cominciarono ad avere una certa importanza ed una più vasta diffusione si fissarono i termini confraternitas ed archiconfraternitas, attualmente usati nel linguaggio corrente ecclesiastico e dal Codice di Diritto Canonico.

Già fino dai primi secoli del cristianesimo fedeli più ardenti sentirono la necessità di unirsi nella preghiera e nella carità: per alcuni di essi tale desiderio prese forma nella vita religiosa in comune, per quelli invece che non volevano rinunziare alla famiglia ed alla vita del mondo, nacquero alcune unioni che avevano, in parte, gli stessi scopi spirituali e di pietà.

Le prime fraternità medievali si ispirarono al bisogno di appoggio e di mutuo aiuto in vita e del suffragio dopo Ia morte: di queste fraternità furono propagatori tenaci San Bonifacio e San Beda, il Venerabile.

In seguito esse ebbero grande sviluppo specie fra i monasteri che stabilirono vicendevolmente di pregare gli uni per gli altri. Il clero secolare seguì l’esempio di quello regolare: nel 762, San Crode­gando, vescovo di Metz, fondò ad Attigny una fraternità che assicurava ad ogni suo appartenente le preghiere di suffragio di tutti i fratelli dopo la morte. A Savonniere nell’859, numerosi sacerdoti promisero di celebrare ogni mercoledì la messa secondo le intenzioni degli altri associati. Anche Roma ebbe sodalizi di questo genere, ma non è possibile dire quando essi abbiano avuto inizio; i documenti più antichi sono le iscrizioni delle chiese dei Santi Cosma e Damiano e dei Santi Giovanni e Paolo che riportano il testo di Bolla di Giovanni XIV dell’anno 984, che si riferisce alla Romana Fraternitas.

Queste istituzioni, formate da sacerdoti secolari, si estesero in tutta la Chiesa; nella cattedrale di Munster in Westfalia ne esiste una ancor oggi. Ma essendo esse costituite esclusivamente da sacerdoti, non avevano le caratteristiche che furono particolari alle confraternite dei secoli successivi. Ne differivano anche per “l’obbligo che avevano tutti preti cittadini di appartenervi per la giurisdizione ecclesiastica di cui erano insignite” (MONTI, Confraternite medievali eec.) mentre uno degli elementi basilari della confraternita è la libertà lasciata ai fedeli di associarsi o no.

Nel periodo in cui i laici non avevano ancora associazioni proprie chiedevano ai monaci di pregare per Ia salute delle loro anime e di quelle dei loro cari defunti, facendo loro, in segno di riconoscenza, donazioni più o meno considerevoli specie di beni immobili. Notevoli furono quelle di Wihtred, re di Kent (696-716) e di Pipino il Breve (?- 768). I nomi dei fedeli in unione di preghiera coi monasteri venivano segnati su libri appositi: il superiore rilasciava loro una dichiarazione di ammissione. La formula del documento d’ammissione dei fedeli nell’Ordine dei Domenicani, rilasciato dal superiore del convento era, nel XIII sec., la seguente: “Ego ex potestate mihi concessa in conventu isto, do vobis participationem in omnibus bonis quae Dominus dederit fieri per fratres hujus conventus, sive sint missae, sive orationes, sive ieiunia, vel abstinentiae, vel vigiliae, vel praedicationes, vel labores ali i, seu alia quaecumque bona et ad omnia ista recipio vos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti” (Ordinarium O.P., Roma 1921).

Sull’esempio di questi gruppi di fedeli, più o meno strettamente legati ai monasteri e che hanno soltanto una vaga analogia con le confraternite, si organizzarono altri gruppi completamente laici che, con lo stesso scopo dei precedenti iniziarono vita propria. Il primo documento che testimonia chiaramente l’esistenza delle unioni di laici è uno statuto scritto da Hincmar Vescovo di Reims neIl’anno 852 per il clero della sua diocesi, dal quale risulta che già allora tali sodalizi erano organizzati, amministrati e usavano riunirsi in assemblea.

Le prime notizie di sodalizi laici in Italia ci vengono dall’Emilia e dalla Toscana. A Napoli furono chiamate “staurite” o “estaurite”: nel 924 si riunirono in S. Michele, nel 957 nacque nella chiesa di S. Severo Ia Compagnia di S. Giorgio.

Tutte avevano come scopo le pratiche del culto, il suffragio dei defunti oltre a forme varie di beneficenza: i membri, laici e sacerdoti, soccorrevano i fratelli malati, i sacerdoti celebravano Messe secondo la loro intenzione, diaconi e suddiaconi recitavano i salmi, mentre i laici assistevano i poveri e gli infermi.

Secondo alcuni autori queste associazioni avevano tutte le caratteristiche per essere considerate vere e proprie confraternite: formate in prevalenza da laici, i loro scopi erano ben definiti, praticavano gli esercizi di pietà in una chiesa o in un oratorio pubblico e, secondo quanto afferma il Muratori, occorreva loro per essere erette la licenza del Vescovo. Ma la mancanza di documentazione e di solidi elementi di prova che attestino tali affermazioni, non ci consente di accettare nel novero delle confraternite, intese nel senso espresso all’inizio di questo capitolo, tali associazioni anche se avevano con queste una profonda rassomiglianza, così da poterle considerare come loro progenitrici.

Col sorgere dei Comuni l’individuo, sentendosi maggiormente libero, poté soddisfare più agevolmente alla sua istintiva necessita di associazione e iniziò a riunirsi sia per fini materiali, di ordine economico, che per fini spirituali.

Notevole importanza presero allora le Corporazioni delle arti maggiori e minori che aggregarono in corpi organizzati le persone interessate ad una stessa attività, e assursero a tale potenza da influenzare, e a volte determinare, la condotta politica del loro Comune.

I sodalizi di laici, con scopo di culto e beneficenza, che esistevano da tempo, agevolati dalle nuove condizioni di vita, acquistarono una maggiore possibilità di sviluppo. L’evoluzione sociale unita ad una più intensa attività spirituale favorì la loro affermazione, che giunse alla completezza organizzativa e alla piena attività del culto nel XIII sec.

Ad allargare e diffondere le associazioni laiche, che oramai avevano acquistato la fisionomia di confraternità, venne a formarsi, intorno alla metà del ‘200, quel movimento dei Disciplinati, dovuto ad una rivolta spirituale di reazione al male ed alla dilagante corruzione. Nel 1260, l’eremita Ranieri Fasani incitò i cittadini di Perugia alla penitenza e con parole infiammate e vestito di sacco, con una disciplina di strisce di cuoio in mano, spinse il popolo a flagellarsi pubblicamente, creando cosi la Compagnia dei Disciplinati di Cristo. Già dall’XI sec. San Pier Damiani e San Domenico Loricato avevano incoraggiato la pratica della flagellazione, diffondendola nei monasteri, allo scopo soprattutto di placare l’ira divina durante guerre e pestilenze.

L’esempio di Ranieri venne seguito in tutta Italia ed in Europa. Le numerose confraternite che si formarono presero il nome di Flagellanti, Battuti,Disciplinati, Frustati e cosi via; nel mezzogiorno d’Italia, specialmente in Sicilia ed in Calabria, ne esistono tuttora chiamate dialettalmente i “Vattenti”.

L’esercizio della disciplina si praticava in oratori o in chiese lasciando solo due lumi accesi: uno sull’altare e l’altro sul banco del Governatore o Priore. Prostratisi tutti i fratelli, il Governatore intonava il Salmo 66: Deus miserere nostri et benedicat nobis, alternando i versetti al coro; e durante Ia recita del Salmo si distribuivano le discipline che erano state disposte ordinatamente sull’altare. Dopo altre preci e dopo aver cantato il capitolo commemorativo della Passione di Gesù Cristo, oppure parte dell’Epistola di S. Paolo ai Filippesi, il Governatore recitava il versetto Servite Domino in timore, et exultate ei cum tremore; alle parole Apprehendite disciplinam i fratelli cominciavano a battersi rispondendo Miserere nobis alle diverse invocazioni fatte sempre dal Governatore a Gesù Cristo.

Da principio i fratelli si riunivano soltanto per flagellarsi, ma successivamente passato il primo momento di eccitazione, degenerato talvolta in fanatismo, cominciarono ad esercitare Ia carità sotto varie forme, fino a che, in molti casi, tale attività divenne lo scopo del sodalizio indispensabile a tutta la società. In seguito a tale movimento nacquero a Roma le vane confraternite che si raggrupparono poi in quella del Gonfalone e in quelIa dei Disciplinati del Sancta Sanctorum.

Sull’esempio dei Battuti del 1260 si ebbero in Italia e in Europa altri moti similari: quello del 399 fu detto dei Bianchi dal colore dell’abito che indossavano. Uniti in folti gruppi, uomini e donne di ogni condizione sociale, praticarono la flagellazione a scopo di penitenza pellegrinando da una città all’altra. Le confraternite sorte a seguito di questo movimento non furono però numerose sia perché il sentimento religioso era diminuito d’intensità, sia perché già molte ne esistevano. Per tutto il XV sec. continuarono a svilupparsi i sodalizi già sorti e se ne crearono dei nuovi sempre con gli stessi scopi religiosi e benefici. Importanza notevole ebbero anche, dal medioevo fin quasi ai giorni nostri, le confraternite sorte a lato delle associazioni professionali alle quali erano strettamente unite. Il governo dei due organismi veniva spesso affidato alle stesse persone così che in molti casi non vi era una netta distinzione fra l’uno e l’altra. Molte confraternite infatti hanno seguito la sorte delle associazioni professionali e sono scomparse con loro; nelle poche superstiti l’ammissione dei confratelli non era più rigorosamente ristretta agli appartenenti all’arte.

Il medioevo è dunque il periodo del pieno sviluppo di questa forma di associazioni laiche, alle quali secondo alcuni storici apparteneva alla fine del ‘400 la quasi totalità dei Cattolici; molti fedeli erano iscritti a più d’una confraternita. A Firenze, Siena, Pisa e Cortona il Monti ha trovato nel XIII sec. 39 confraternite e ben 66 nel XV sec.

All’inizio dell’Evo moderno, prima ancora della riforma protestante, in seno alla Chiesa ed in piena ortodossia si venne concretando un movimento riformatore cui partecipavano clero regolare e secolare e laicato. Nacquero così nuove confraternite che al misticismo ed alla carità delle più antiche unirono lo scopo della riforma della Chiesa. Ne è luminoso esempio la Compagnia del Divino Amore sorta a Genova nel 1497, che annovera fra i fondatori il famoso Ettore Vernazza, Cancelliere della Repubblica, il quale contribuì alla fondazione dell’Oratorio romano con lo stesso titolo.

Durante i successivi secoli le confraternite continuarono nella loro evoluzione, crebbero di numero cercando nello stesso tempo di estendere la loro benefica opera a tutte le classi sociali, nel trovare nuove formule per intensificare la missione di spiritualità e di carità. Per la breve cronaca delle confraternite romane dopo il 1870 ci atterremo a quanto ha scritto con la sua abituale chiarezza Luigi Huetter (Le Confraternite, ecc.), citando spesso per esteso le sue parole che tanto bene esprimono la dolorosa realtà. Superato il trauma spirituale e politico della caduta del potere temporale anche i sodalizi romani, egli scrive, “…cadevano ad un tratto insieme con le 11.707 confraternite del Regno uccise dalla legge del 20 lugho 1890”.

Dopo l’approvazione di questa legge, nella quale le confraternite non venivano soppresse, ma assoggettate al diritto comune e in alcuni casi soltanto trasformate, uscì questo jus singulare espresso dal legislatore con le seguenti parole: “I beni delle confraternite, confratrie, congreghe, congregazioni romane saranno indemaniati e le loro rendite destinate ad istituti di beneficenza della capitale”. La convinzione irreligiosa dei promotori del drastico provvedimento era stata cosi esposta nella relazione ministeriale al progetto di legge sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza: “Non perderò molte parole riguardo alle confraternite ed altre istituzioni consimili. Non si può riconoscere un carattere di utilità pubblica in enti che, salvo poche eccezioni, hanno per fine lo spettacolo di funzioni religiose, causa ed effetto di fanatismo ed ignoranza: di regolare il diritto di precedenza nelle processioni, di difendere le prerogative di un’immagine contro un’altra; di stabilire il modo e l’ora delle funzioni; di regolare il suono delle campane; lo sparo dei mortaletti e via dicendo. Sono continui e gravi gli inconvenienti di ordine morale, politico e sociale, a cui esse danno luogo nell’esercizio della propria azione. Sono in una parola più dannose che utili alla Società’. (Atti parlamentari, leg.16, sess. 3, seduta 18 febbraio 1890).

Così senza far distinzione tra confraternita, chiesa e università d’arte, quando questa risiedevanello stesso luogo, furono incamerati i beni di tutti, facendo nascere numerose liti che solo in pochissimi casi si conclusero favorevolmente per i sodalizi

“Ecco dunque – scrive Huetter – condannate le confraternite romane. Eppure, confessa il Bovet, avevano avuto abilità e bellezza incontestabili. Dinanzi alla legge avevano interpretato spesse volte il buon senso popolare. Contro la bestemmia e il delitto significavano preghiera, fede, sacrificio.

“Nell’urto delle fazioni, di mezzo ai potenti oppressori, riunivano ogni classe sociale sotto un identico stendardo, davanti il comune altare.

“L’esteriorità stessa appariva consona ai tempi. Quegli incappucciati litanianti a lume di torcia facevano colpo sugli animi semplici. Tutti piegavano il ginocchio davanti ai fratelli ignoti.

“Questo arcano religioso in cui il Dolore e la Morte prendevano parte si grande, lasciava negli spiriti un po’ di dolcezza, faceva balenare un raggio di Speranza”.

Nel 1927, quando Huetter pubblicò il suo prezioso saggio sulle confraternite romane, osservava che, malgrado tutto, solo pochi sodalizi erano scomparsi. Ma da allora la situazione si è ulteriormente aggravata e, per motivi di vario genere, numerosi altri sodalizi hanno cessato ogni attività. Essi sono dunque ridotti di numero, e molti di quelIi ancora esistenti si limitano a riunirsi soltanto una volta l’anno, il giorno della festa titolare.

Alla inevitabile decadenza, che segui la spoliazione dei beni, va aggiunto il nuovo indirizzo preso dalla Chiesa circa le organizzazioni di laici e la tendenza di riunire tutti i fedeli nell’Azione Cattolica e, ora, nei vari Movimenti ecclesiali. Le mutate condizioni di vita e l’espansione della città hanno anche esse contribuito alla decadenza di questi secolari organismi, rimasti nelle loro antiche sedi in zone ormai quasi completamente spopolate, concentrate per la maggior parte nel centro di Roma, le une vicine alle altre, così che in una parrocchia come, ad esempio, S. Maria in Campitelli ci sono ben 12 chiese od oratori, in gran parte dedicati a Confraternite.

Al tempo in cui M. Maroni Lumbroso e A. Martini scrivevano, (ovvero gli anni ’60) tutto lasciava presagire che le secolari e gloriose confraternite romane fossero destinate in breve volgere di tempo a scomparire del tutto, tuttavia negli ultimi anni si assiste a un rifiorire di interesse e di partecipazione alle loro attività soprattutto a quelle di carattere religioso, sociale e culturale.

LE CONFRATERNITE NEL DIRITTO

Il Diritto Canonico medievale non dettava alcuna norma per l’ordinamento delle confraternite, salvo Ia generica prescrizione che imponeva la soggezione delle organizzazioni laiche a scopo di culto all’Ordinario della diocesi di residenza.

Per tutto il medioevo questi sodalizi ebbero dunque sviluppo autonomo senza obblighi ben definiti verso Ia Chiesa, basandosi solo su regole che non sempre avevano però l’approvazione ecclesiastica.

Alcuni Concili Provinciali o Diocesani francesi, in varie occasioni stabilirono che il sorgere delle confraternite fosse subordinato all’approvazione del Vescovo, ma queste decisioni non ebbero sempre attuazione. Gli inconvenienti, a volte gravi, creati dall’imperfetto ordinamento giuridico, richiamarono l’attenzione del Concilio di Trento che se ne occupò nella XXII Sessione, nel settembre 1562.

Uno degli scopi della Riforma Cattolica era quello di dare ai Vescovi l’effettivo governo della Diocesi, garantendo loro i mezzi per poterlo esercitare in modo concreto.

L’erezione di associazioni di fedeli senza l’approvazione dell’Ordinario e senza il suo controllo ne sminuivano naturalmente l’ autorità; lasciata senza controllo, la direzione laica delle confraternite portava ad errori di interpretazione dei dettami spirituali della Chiesa e ne indeboliva Ia coesione, anche se questi errori venivano commessi in buona fede.

Per tali motivi il Concilio prescrisse l’approvazione del Vescovo per la fondazione delle confraternite, dandogli la facoltà di visitarle e obbligando gli amministratori a rendere annualmente conto della gestione.

Da allora il controllo del clero sulle confraternite fu assai più attivo e crebbe dopo le norme emanate, nel 1604, da Clemente VIII circa la loro erezione.

Con l’entrata in vigore del Codex Juris Canonici (19 maggio 1918), la posizione delle confraternite nella Chiesa era gia chiaramente stabilita al libro II, tit. 19, cann. 707-725.

Il 25 gennaio 1983 Giovanni Paolo II promulgava il nuovo Codice di Diritto Canonico. In esso non si parla esplicitamente delle Confraternite, ma esse sono ragionevolmente incluse nel Titolo V: “Le associazioni dei fedeli”, dal canone 208 al 329, dove sono separatamente esposte le disposizioni circa le norme comuni (Cap. I), le associazioni pubbliche (Cap. II), le associazioni private (Cap. III), alcune norme speciali (Cap. IV); non sempre le associazioni pubbliche dei fedeli e quelle private sono di facile distinzione. In linea generale si può dire che, secondo il nuovo Diritto Canonico, le Confraternite, particolarmente legate al culto, alle opere di bene, lodate e raccomandate dall’autorità ecclesiastica, devono avere la loro specifica finalità, i loro statuti, la loro indole, la loro modalità di appartenenza e di azione, sotto la vigilanza dell’autorità ecclesiastica competente: ad essa spetta il diritto-dovere di attendere all’integrità della fede e dei costumi e a non permettere abusi nell’esercizio della liturgia e delle vane iniziative.

L’ accettazione dei membri avvenga a norma del diritto e dei propri statuti.

La stessa persona può essere iscritta a più associazioni.

Ogni associazione ha diritto di emanare norme circa Ia assemblea e la nomina dei moderatori, officiali, amministratori dei beni.

Gli statuti e il loro cambiamento necessitano dell’ approvazione dell’ autorità ecclesiastica.

Il cappellano, se soprattutto è Rettore della Chiesa, è nominato dal Vescovo ordinano della diocesi.

La Confraternita amministra legittimamente i beni che possiede, sotto l’alta direzione dell’autorità ecclesiastica, alla quale ogni anno deve rendere conto dell’amministrazione, dando anche un fedele rendiconto delle offerte e delle donazioni raccolte (Can. 319).

Nella Diocesi di Roma, le Confraternite hanno trovato maggiore chiarezza. Intanto con la recente Costituzione “Ecclesia in Urbe” è Stato costituito, al n. 28, un vero Ufficio diocesano per “le Aggregazioni laicali e le Confraternite” (1 gennaio 1998).

Ma già nel Sinodo Romano del 1993, si ordinava che “le Confraternite e i Sodalizi della città di Roma si rinnovino negli statuti e nelle strutture alla luce del Sinodo e si  inseriscano sempre più nel progetto pastorale della Diocesi e delle parrocchie” (Cap. II: i Laici nella comunità cristiana; indicazioni pastorali n. 8). A proposito della parrocchia si davano per la prima volta specifiche indicazioni: essa deve accogliere le Confraternite e ne deve garantire la partecipazione agli organismi parrocchiali; deve sostenere Ia formazione e la crescita spirituale dei soci; deve aiutarle ad essere se stesse, ecclesialmente; deve, la parrocchia, promuovere intesa e collaborazione tra le varie confraternite, favorendo la stima reciproca e il collegamento per una formazione permanente e per una pastorale comune.

Così, oggi, anche le Confraternite potranno avere una nuova vitalità, che non si scosta dalla tradizione se non per un vocabolario più aggiornato: in pratica devono aiutare i Laici cattolici “ad avere una coscienza sempre più chiara della loro specifica vocazione e spiritualità e della loro responsabilità nell’edificazione della Chiesa e nell’evangelizzazione della Città” (Libro del Sinodo della Diocesi di Roma, pag. 87).